venerdì 4 novembre 2011

Radical City




E' la città lo spazio di rappresentazione e sperimentazione delle teorie espresse dall'architettura radicale italiana. Dopo la mia prima ricerca, “Dopo la rivoluzione. Azioni e protagonisti dell'architettura radicale italiana”, in cui facevo parlare i diretti protagonisti, in questo nuovo numero di archphoto2.0 ho pensato di trattare il tema della città radicale. Ovvero quel luogo dove si sono alternate le sperimentazioni teoriche e pratiche dei radicals. Questo spostamento del punto di vista consente di leggere in modo nuovo l'architettura radicale comprendendo l'intero movimento ed evitando di procedere per singoli frammenti, a mio avviso riduttivi della potenza teorica dei radicals.
L'obiettivo è scrivere una pagina nuova, in quanto mai scritta, della storia dell'architettura partendo dal contesto politico e culturale degli anni sessanta. Le rivolte studentesche per una migliore didattica nelle università, le occupazioni, gli scioperi, l'ondata rivoluzionaria proveniente da Berkeley, il People Park, la nascita della pop art in Inghilterra, la crisi dell'architetto dopo la fine del movimento moderno, la de-strutturazione del linguaggio, l'attraversamento disciplinare tra arte, architettura, musica, teatro hanno determinato quel sottofondo culturale nel quale è nata l'avventura radicale. Avventura che si è sviluppata a Firenze, Torino e Milano, creando legami con altri movimenti della neo-avanguardia architettonica in Austria (Pichler, Haus Rucker, Coop Himmelblau) e UK (Archigram, Cedric Price).
Firenze è stato uno dei centri di sviluppo del movimento grazie ai due Leonardi: Ricci e Savioli che, insieme a Eco e Konig, hanno consentito lo svilupparsi delle teorie radicali ma occorre ricordare Torino con la figura di Pietro Derossi e i suoi legami con l'arte povera, mentre a Milano Ugo La Pietra, Sandro Mendini, Ettore Sottsass e Fernanda Pivano.
Se da un lato i primi progetti sono rimasti nella dimensione teorica per alcuni come Archizoom, Superstudio, Strum in un ambiguo rapporto col design che, col passare del tempo, ha assunto sempre maggiore importanza dopo la consacrazione internazionale nella mostra, curata da Ambasz al Moma nel '72 “Italy: the new domestic landscape”; ad eccezione degli Zziggurat ultimo gruppo radicale. Per altri come UFO, Gianni Pettena, Ugo La Pietra e 9999 il terreno della sperimentazione teorica/pratica è stata la piazza;uno spazio adatto alle installazioni e alle performance usando lo stesso linguaggio degli artisti. Ma soprattutto il luogo del contatto diretto con gli studenti e le loro proteste contro l'accademia e il sistema dominante, fatto che ha caratterizzato lo svolgimento delle opere degli UFO, capitanati da Lapo Binazzi, che tra gonfiabili e performance hanno declinato in modo mirabile il rapporto tra semiologia e architettura. Lo spazio pubblico diviene il luogo del confronto tra artisti e radicals, come accade a Campo Urbano (ideato da Luciano Caramel a Como nel '69) dove La Pietra, Pettena+Chiari e Paolini si ritrovano; e ancora il dialogo tra Robert Smithson e Gianni Pettena. Ma c'è uno spazio che rappresenta l'unica possibilità per un architetto degli anni sessanta di esprimere il concetto di modernità: la discoteca. Ogni architetto radicale ne progetta una. A Firenze i Superstudio realizzano il Mach2, mentre i 9999 fanno la disco più nota, lo Space Electronic che gestiscono ospitando concerti di gruppi emergenti inglesi, happening e performance del teatro sperimentale. La disco Bamba Issa degli UFO a Forte dei Marmi e il ristorante Sherwood a Firenze, la boutique Altre Cose con annessa disco Bang Bang di La Pietra a Milano. Il piper di Torino progettato e gestito da Pietro Derossi che diventa un ritrovo per l'arte povera. Questo nuovo scenario legato all'entertainment ha un padre nell'architetto Leonardo Savioli che, ispirato dai suoi assistenti tra i quali Adolfo Natalini, fa suo il tema della discoteca nel corso di arredamento e architettura degli interni alla facoltà di architettura di Firenze; non è un caso che gli autori del Piper di Roma siano stati suoi allievi. Un altro aspetto importante dell'epoca è la presenza di pubblicazioni auto prodotte: dalle fanzine degli Archigram a In e In più di La Pietra, fino al catalogo col pelo dei 9999 per un evento allo Space Electronic con i Superstudio. Ma sono le riviste come AD e Casabella a promuovere la nouvelle vague della sperimentazione dove emerge la figura di Sandro Mendini che rivoluziona il modo di fare la rivista inventandosi di volta in volta le copertine, affidando alle immagini un ruolo espressivo centrale.
L'architettura radicale che ha mosso i primi passi dalle avanguardie storiche dada, futurismo ed espressionismo ha condizionato la storia dell'architettura nel silenzio della storiografia ufficiale rappresenta ancora oggi un tesoro da scoprire e analizzare. Con questo numero di archphoto2.0 si vuole riscrivere la storia fornendo un'ulteriore punto di vista da cui ripartire per nuove utopie realizzabili.

Emanuele Piccardo

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